RICORDARE


Cronaca di una strage: l’Italicus

  La mia famiglia trascorreva le prime due settimane di agosto in vacanza a Viareggio. Alloggiavamo in una piccola pensione tra Lido di Camaiore e Città Giardino. Restavo con la mamma e mia sorella, il babbo non veniva tutti gli anni, perché come ferroviere non poteva scegliere il periodo di ferie. Ci accompagnava con l’auto e al termine della vacanza tornava a riprenderci. Quando poteva disporre di due giorni di riposo dal lavoro, prendeva il treno e veniva a trovarci, facendoci una bella sorpresa.  Avevamo una Fiat 128 verde chiaro che riempivamo di valigie e borsoni come se dovessimo star fuori sei mesi; vi pressavamo tutti i vestiti estivi dell’armadio, contavamo di cambiarci almeno tre volte al giorno: per il mare, per il pranzo, per uscire dopo cena in passeggiata. Io e mia sorella eravamo ragazze, allora non usava fare le vacanze per conto proprio, non ci pensavamo neppure, fino a che non fossimo sposate la villeggiatura con la famiglia non era messa in discussione. Potevamo però partecipare alle gite organizzate dalla scuola o da qualche associazione, ad esclusione dei primi quindici giorni di agosto.  

Nell’estate del 1974 mio padre era rimasto a casa perché in servizio: faceva l’aiuto macchinista nel Compartimento ferroviario di Firenze. Viaggiava quasi sempre sulla linea Milano-Roma. I tempi di percorrenza erano lunghi, spesso si fermava a dormire nei Dopolavori poiché tra un servizio e l’altro doveva intercorrere un certo numero di ore. Al momento di partire per il mare, la mamma aveva pensato di annullare la vacanza: ormai da più di un anno vivevamo in un clima di tensione per paura che succedesse qualche attentato al treno su cui viaggiava. Quasi ogni settimana, accadeva che avvisasse di ritardare a rincasare di quattro o cinque ore, in quanto ignoti avevano telefonato che sul treno c’era una bomba. Il convoglio veniva costretto a fermarsi nelle stazioni intermedie: Bologna o Orte per la perquisizione. Occorrevano ore per mettere a setaccio i vagoni da parte della polizia ferroviaria e delle altre forze dell’ordine. I passeggeri, prima impauriti, poi rassegnati riprendevano il viaggio commentando quanto era successo. Se era un treno merci i macchinisti lo portavano a destinazione senza che poi trapelasse notizia dell’accaduto. Più rapidi erano gli accertamenti nel caso di telefonate anonime per segnalazioni di ordigni sulla linea ferroviaria, comunque ci volevano ore perché la circolazione tornasse regolare.

Quando il babbo rientrava in ritardo, esausto e silenzioso credendo di dargli coraggio lo confortavo dicendo che lo scopo dei terroristi era quello di far paura alla gente e che se davvero avessero messo una bomba non avrebbero avvisato. “Quando telefonano non mettono bombe!” Avevo ragione.

La domenica mattina del 4 agosto 1974 il nostro cugino Piero che trascorreva qualche giorno di vacanza con sua moglie nella medesima pensione, era uscito presto per comprare il giornale. Bussò alla camera dove con mia sorella e mia madre mi stavo preparando a scendere per la colazione. “Che linea faceva stanotte Giovanni?” Capimmo subito.