RICORDARE


Buio, lampi di fuoco, fiamme e ancora scoppi e le rotaie stridono stridono e urla, grida di aiuto, lamenti. Chi può scende dal treno e corre, ma dove? Via, lontano sui binari, verso la stazione. Le tenebre intorno, le montagne scure, impassibili. Solo il bagliore del fuoco di due carrozze, no, è la carrozza 14 che brucia. L’idrante non è lungo a sufficienza: “Tira, tira di qua, forza, apri, apri”. Il getto d’acqua non arriva sul vagone infuocato. I ferrovieri del treno e quelli di stazione trascinano fuori i feriti che si lamentano, che danno segni di vita, chi non è incastrato nelle lamiere. I soccorsi sono stati chiamati, sono già partiti ma non arrivano, non arrivano. Il fumo, il puzzo di bruciato impedisce di respirare. Dopo un tempo infinito, forse breve, la montagna si illumina. Le sirene delle ambulanze, dei vigili del fuoco, della polizia, dei carabinieri, tutti accorrono. Sanno cosa fare, non si perde tempo. L’incendio è domato, la carcassa della carrozza non si può guardare. Fa paura. Lungo i binari a fianco, i corpi coperti da lenzuoli bianchi, parti di corpi coperti da lenzuoli bianchi, le sirene delle ambulanze risuonano vicine, lontane, separano i vivi dai morti, portano via il fratello dalla sorella, dalla madre, dal padre, l’amico dal compagno, che sono rimasti là, sui binari, coperti da un lenzuolo bianco. All’appello manca un conduttore, il bel ragazzo alto e forte, entrato da poco, con un nome strano, chi? Silver? Dove sarà? Aveva già finito di controllare i biglietti nella carrozza della morte, l’hanno visto con un estintore tentare di spengere le fiamme tra gli scompartimenti, ma non si trova, non si trova.

Mio padre, il lezzo della carne bruciata, riaffiorano ricordi sopiti ricacciati per tanti anni dalla memoria, del campo di concentramento in Germania. Il 12 settembre del 1943 il militare italiano di Fanteria Carrista: Mancini Giovanni fu catturato a Pinerolo, insieme a tutto il suo battaglione dai tedeschi e internato in un lager nel nord della Germania, da cui fu smistato dopo quattro mesi ai lavori agricoli in una fattoria. Liberato dai Russi nella primavera del ’45 tornò a casa a piedi e con mezzi di fortuna e arrivò a Cerreto Guidi il 2 settembre per la festa di Santa Liberata. Ventiquattro anni, quaranta chili di peso, pantaloni cuciti da una balla, stette tre mesi a ridere. Lo avevano preso per pazzo, poi lentamente tornò alla normalità.

La tragedia dell’Italicus.