Letture


 

LETTURE DA L’OMBRA DELLA SERA

ATTORI: ELISABETTA SANTINI

MARIO FAVILLA

 

Presentazione Villa Medicea di Cerreto Guidi.

Si leggono solo alcuni aspetti che riguardano il carattere dei personaggi per non svelare la trama

Mario quando legge di Lamanna dirà di figurarsi un omone grande e robusto, con gli occhi furbi e inquisitori. Uno che agli indiziati incute timore.

Betti dirà di figurarsi Irene Gando: alta, atletica, senza trucco, con la coda di cavallo “Pronta a diventare operativa”

I personaggi tradiscono la loro origine solo con esclamazioni in dialetto

Dal CAP 1

ISPETTORE LAMANNA (coprotagonista) (è di origine siciliana)

Mario

L’ispettore Lamanna era arrivato prima del solito quel lunedì mattina di fine novembre. Fuori una pioggia leggera, incessante da giorni, rendeva l’aria nebbiosa e scura. Se non fosse stato per lo sciacquio delle ruote del traffico, già intenso, si sarebbe creduto che la città sonnecchiasse indolente.

Aveva trascorso una notte agitata nel vano tentativo di riaddormentarsi, l’insonnia continuava a tormentarlo alimentata da pensieri che non avrebbe voluto.

Minchia, perché mi devo preoccupare per una novellina? In tanti anni di servizio, sul lavoro mai un problema ebbi. Il Capo l’affidò a me per farle da balia. Che sarà, la fine del mondo?

Aveva tentato di calmarsi ripetendosi che la pratica poteva aiutarlo nell’indirizzarla. Prima dell’alba si era arreso, tanto valeva alzarsi. Niente affatto convinto, altri interrogativi tornarono a punzecchiarlo, appena varcata la soglia del commissariato.

E se fosse tutto Codice? Una di quelle persone che per ogni cosa citano il riferimento di legge. Magari ragiona con frasi fatte e neppure contestare posso. Se comanda di attenersi al regolamento? O per ogni mossa esige l’autorizzazione del giudice? Ordinerà di non prendere iniziative prima dei risultati della Scientifica? Peggio ancora se bisognerà aspettare il rapporto della Postale o della Finanza. Poi, sulla base dei dati raccolti da altri, in quattro e quattr’otto pretenderà di risolvere il caso?

A ogni domanda si dava una risposta, elencando le azioni che avrebbe messo in campo per limitare i danni, però ad una questione non sapeva trovare rimedio.

Giovane è! Sarà una fissata con la tecnologia. Svolgerà le indagini affidandosi a Internet e ai social. Allora l’esperienza ho da buttare?

IRENE GANDO (Protagonista) (è piemontese)

Betti

Irene Gando giunse al commissariato che erano da poco passate le otto. Prima di suonare al citofono alzò gli occhi sull’edificio, inspirò profondamente. Bisognava rassegnarsi.

Aidemì, giuro che mai più cercherò una raccomandazione! L’unica volta che ho chiesto a papà di mettere una parola con l’amico generale, guarda dove sono finita!

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LAMANNA

Mario

  • La sede, tranquilla è. Di infiltrazioni mafiose non ne siamo a conoscenza. Il terrorismo ci passa alla larga. Da un po’ qualcuno ha il buon senso di non farsi ammazzare! Certo non mancano truffe, rapine, prostituzione, spaccio, borseggio e i reati portati dall’immigrazione, con annessi e connessi.

GANDO

Betti

Boja Fauss! Ci avrei scommesso che mi sarei annoiata! Proprio quello che temevo. Mi faranno diventare un burocrate passacarte.

Si concesse lo sfogo mentale allargando i capelli sotto il fermaglio per meglio stringerli.

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Mario e Betti

Alcuni poliziotti parlano tra loro e commentano l’arrivo della Gando

(Bono è l’abbreviazione di Bonofiglio. Un gigante buono sempre con la bocca sorridente. Ha passione per le moto. Si occupa della micetta Iuve. Origine calabrese

Ispettrice Signori, ha un aspetto da gran dama, incute un po’ soggezione. È di Ferrara

Masciotti è serioso. Origine calabrese.

Bona, abbreviazione di Bonasperanza, origine napoletana. Fisicamente è il contrario del nome. (Lo scoprirete leggendo)

 

(PARLA Bono e si alterna con Signori e l’agente Bona

(Mario e Betti)

  • È un bel pezzo di donna, la definirei così. È piemontese, – disse alzando le spalle e sforzandosi di pronunciare le parole senza le inflessioni del dialetto calabrese – sarà ligia al dovere.
  • Non è una bella cosa, – sospirò il corregionale Masciotti. – le donne del nord sono troppo emancipate. Per il lavoro sacrificano la famiglia.
  • Che significa? – Aggiunse risentita Bona, tentando di eliminare dal tono della voce l’accento partenopeo. – Con un po’ di sacrifici si riesce a conciliare professione e vita privata. Io ne sarei capace.

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  • Un commissario maschio è da preferire. Darebbe maggior prestigio alla squadra.

Gli altri si affrettarono a darle ragione.

  • Obbedire a una donna è difficile. Saprà affrontare la crudezza del mestiere?

All’interrogativo di Masciotti risposero con una smorfia di scetticismo. Bono nutriva un dubbio ben diverso.

  • Non avrà certo passione per i motori. Lascerà sguarnito il nostro parco macchine.

Evidentemente temeva che la superiore mostrasse disinteresse proprio in quel campo; un’osservazione che destò il buonumore nella compagnia.

  • Non è quello il suo compito, – disse la vice ispettrice Signori intromettendosi nella conversazione – però concordo con voi. Sarebbe stato meglio un commissario. Prendere ordini da una donna è problematico. Di solito vuole dimostrare che merita di stare in alto. Ricerca consenso offrendoti amicizia. Si intromette nella vita privata dei sottoposti. Il rapporto tra chi dirige e chi obbedisce è falsato.
  • Vero è. Tu non dovresti aver niente da temere, sei di Ferrara.

L’osservazione di Vizzi, che transitava da un ufficio all’altro con una cartella in mano, raccolse unanime consenso.

  • Cosa c’entra questo? – Si schernì risentita la Signori.
  • Beh! Almeno tu non devi sforzarti di parlare italiano.
  • Per i meridionali, dalla Toscana in su siamo tutti dei pirla!
  • Lo stesso si può dire per voi. Da Roma in giù siamo tutti terroni.

Bono si sentì investito del dovere di ristabilire l’unità nazionale.

  • Anche il Capo è veneto, eppure ci andiamo d’accordo. Qui in commissariato non ci sono divisioni e poi parliamo tutti in italiano.
  • Eccetto Franchi, l’unico toscano. Per quanto si sforzi, si mangia le ci che è una meraviglia! Eppure, come poeta, dovrebbe esprimersi correttamente.
  • I toscani pretendono di essere i padroni della lingua! Si sentono superiori.
  • Sono divertenti, va bene, ma il napoletano con una parola racconta un mondo.

La collega si prendeva la rivincita.

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AGENTE SCELTO FERRO (sardo, di poche parole)

Alternarsi tra Mario e Betti)

Poi si rivolse ai colleghi e fece loro cenno di allontanarsi. Masciotti lo seguì con l’intento di giustificare sé e gli altri.

  • Scusaci, non volevamo importunare il Capo.
  • Ajò! Ma cosa vi è preso! Conoscete le sue abitudini. Io calcolo il tempo che gli occorre per togliersi il cappotto e andare in bagno. Sono preciso come un cronometro. Solo così poi è tranquillo e ci lascia in pace. Ora sarà nervoso tutto il giorno.

Se Ferro si era lasciato andare nell’esclamazione e in un discorso di rimprovero per lui insolitamente lungo, significava che l’avevano fatta proprio grossa.

  • Tuttto dicevo io, – replicò Masciotti, – una commissaria avrebbe portato zizzania.

Con il suo calabrese rivisitato triplicando la t, gli parve di aver degnamente risposto. Nel frattempo Bona aveva inseguito Franchi che si preparava a uscire.

  • E tu cosa ne pensi della Gando? Te ne sei stato lì impalato. Hai perso la vena poetica?
  • Che pretendevi che l’accogliessi con una poesia di benvenuto? Non mi interessa. Non ti curar di lor ma guarda e passa.

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VICE QUESTORE BRUSELLO (è il superiore in grado, carattere pacioso)

Betti o Mario

Valutò che certamente l’impiego repressivo delle forze fisiche e psichiche era un pessimo modo per cominciare la quotidiana lotta col mondo. Si era avviato come sempre ad affrontare il nuovo giorno quando non era ancora pronto per riceverne lo stress. Prima di prendere servizio tutto era proceduto secondo le abitudini: aveva consumato la colazione al bar e percorso a piedi il tratto verso la stazione di Polizia per facilitare con la camminata le operazioni di liberazione fisiologica. Il freddo lo aveva raggelato e, penetrandogli nel collo, contratto i muscoli. Appena entrato nel tepore confortevole dell’atrio, il rilassamento stava facilitando l’insorgere dei giusti stimoli naturali. Ora, invece, si frapponevano perdite di tempo che gli imponevano di reprimere lo sfogo della pancia, impegnata a trattenere ciò che era più salutare uscisse.

Per tali esigenze considerava insopportabile chiunque infrangesse i rituali mattutini, aggredendolo con starnuti di parole. L’interruzione del processo prima del raggiungimento dell’obiettivo finale lo avrebbe reso d’umore nero per le ventiquattr’ore successive e oltre.

Irene Gando aveva già iniziato a rompergli le scatole.

 

Dal Cap XXVII (ultimo)

LAMANNA

Mario

Lamanna rincasò presto. A cena la moglie avvertì che c’era qualcosa di nuovo. Era sparita dai suoi occhi la stanchezza nervosa, che rasentava spesso lo sfinimento e lo spingeva a rifugiarsi nella solitudine con aria scontrosa. Per la prima volta le parlò dell’inchiesta raccontandole del modo imprevisto con cui si era conclusa. Dopo tanti mesi mangiava con gusto, si interessava della spesa e la lodò per il sugo della pasta. Le altre sere entrambi non vedevano l’ora di terminare per girarsi le spalle e chiudersi in se stessi. Lui, appena ingollato l’ultimo boccone, si appisolava sul divano, mentre lei finiva di rassettare. Si svegliava a volte di soprassalto dicendole: “bisogna che vada a letto” senza trovare la forza di alzarsi. Dava la colpa della spossatezza all’estenuante fatica del lavoro.

Ora portavano un argomento dietro l’altro per prolungare i discorsi.

  • Stanotte, se tornassi a dormire nel mio letto? Con te. Lo so che russo. Comprai le grappette per il naso. Tu puoi metterti i tappi.
  • Il letto vuoto mi dà tanto dolore. Anch’io lo desidero.

La donna abbassò la testa. Fu certo che il volto le diventasse rosso dall’imbarazzo, come succedeva tanti anni addietro.

IRENE GANDO

Betti – Mario

Una malinconia soffocante l’addolcì. Spalancò la finestra. Inspirò a lunghi sorsi l’aria fredda. Il vento si era calmato. Rabbrividì.

Bono, euforico come al solito, entrò con dei documenti da firmare, bussando contemporaneamente all’anta fissa della porta. Senza girarsi, gli chiese di lasciarli sulla scrivania. Nel richiudere si formò una corrente d’aria, le tende a pacchetto, arrotolate in alto da epoche immemorabili, cigolarono. I fogli, frusciando, si sparpagliarono sul pavimento. Pensieri lenti. La piccola Juve saltò sul termosifone e con un miagolio istigatore di coccole attrasse le sue carezze. Guardava avanti nel grigiore della città, il rumore delle auto, che a momenti andava morendo, a momenti tornava a rafforzarsi, le sembrava il respiro di qualcuno. Le parve di scorgere nei bagliori di un tramonto velato, i bozzi delle prime gemme tra il labirinto di stecchi.