RICORDARE


La maestra Tonina

Davanti all’ultima porta del corridoio di destra la maestra Luisanna ci attendeva in piedi. Mamma aveva mantenuto la promessa! Ero rassicurata e la lasciai andare senza far storie. Avevo schivato il pericolo maggiore: la maestra Tonina, brutta e cattiva. Nei cinque anni che rimasi alla scuola elementare ebbi confermate le voci sulla malvagità della torturatrice di innocenti. Incuteva paura anche ad incrociarla nei corridoi e nessun bambino avrebbe avuto il coraggio di sostenerne lo sguardo, l’unica vendetta che si prendevano era quella di chiamarla tra loro in geloso segreto: la Baffosa. I capelli scuri sulle spalle radi e spelacchiati, crespi e finti lisci, la bocca impiastricciata di rossetto che esaltava la peluria nera sopra il labbro, alta e robusta era la personificazione della matrigna cattiva.

La mattina arrivava prima di tutti e indossava una vestaglia nera di rasatello lucida che ben si addiceva al volto ingrugnato. Nessuno l’aveva mai vista ridere. I grandi per giustificarla affermavano che preparava bene gli alunni e bisognava sopportarla. Per fortuna non ero tra quelli! Appoggiato sulla cattedra teneva un bastoncino di circa sessanta centimetri e se qualcuno sbagliava la risposta si faceva porgere le palme e affibbiava una frustata secca e bruciante. Costringeva dietro la lavagna i malcapitati per le mancanze più lievi e ai maschi se chiacchieravano imponeva mezz’ora di orologio in ginocchioni. I ragazzi che erano usciti dalle sue grinfie da qualche anno narravano tenesse un sacchetto di chicchi di granturco nel cassetto in basso della cattedra e all’occorrenza lo spargesse sotto i ginocchi dei rei per aiutarli ad espiare meglio il peccato dell’ignoranza. Agli scolari sventurati che la sorte malvagia aveva reso mancini legava il sinistro dietro la schiena e le mamme erano complici della persecuzione! Urlava agli sciagurati: “La sinistra è la mano del diavolo!” Quando inquisiva con le interrogazioni se era soddisfatta metteva il voto sul registro in silenzio altrimenti angariava il condannato con il solito complimento: “Mi fai semplicemente schifo!” e sulla parola schifo alzava il tono della voce, storcendo le labbra in una smorfia di disprezzo e disgusto come se le avessero buttato sulla cattedra un topo morto in avanzato stato di decomposizione. Durante le prove scritte se ne stava appoggiata sulla parete di fondo per sorprendere il nemico alle spalle; si avvicinava furtiva e a coloro che non la soddisfacevano, in contemporanea con una solida pacca sulla nuca: “Scrivi come un rospo!” se era un maschio o “Sono zampe di gallina!” nel caso di una femmina, attenta e vigile ad accordare il confronto per genere con il regno animale. In effetti tale metodo garantiva buoni risultati offrendo segni evidenti di miglioramento; chi aveva già beneficiato della sberla si sentiva liberato e poteva mettersi tranquillo, quindi, superata l’ansia, aveva miglior cura della calligrafia.

Al contrario chi ancora non aveva ricevuto le sue attenzioni manesche se ne stava a spiare con la coda dell’occhio quando stesse per arrivare la benedizione e di conseguenza non deludeva le aspettative a mal fare di Tonina. Sosteneva i valori della democrazia investendo il capoclasse ad annotare in sua assenza, sulla lavagna divisa in colonne: la lista nera e la lista bianca, i nomi dei buoni e dei cattivi, promuovendo inimicizie e rancori insanabili tra i suoi discepoli.